La famiglia Mastroberardino da oltre due secoli si occupa di vino. Le prime tracce della presenza in Irpinia risalgono al catasto borbonico, a metà del Settecento, epoca in cui la famiglia elesse il villaggio di Atripalda in provincia di Avellino il proprio quartier generale, ove sono tuttora situate le antiche cantine, e di lì ebbe origine a una discendenza che legò indissolubilmente le proprie sorti al culto del vino.
Da allora sono passate 10 generazioni che hanno portato avanti l'attività della famiglia di origine tra alterne vicende: la filossera, la prima e la seconda guerra mondiale che spopolarono le campagne ed il terremoto che negli anni 70 colpì così rovinosamente il territorio.
“Abbiamo difeso le nostre tradizioni e i nostri sapori ottenendo un riconoscimento mondiale. Già Plinio parlava di Fiano e Falanghina in queste zone, noi ci siamo battuti per conservare la storia”, raccontava a chi visitava la cantina Antonio Mastroberardino, il guru dei vini campani, scomparso lo scorso gennaio all'età di 86 anni.
E' merito suo se molti viticultori dell'Irpinia hanno conservato i vitigni di Aglianico, di Taurasi, di Fiano e di Greco contro ogni moda, contro ogni omologazione del gusto diremmo quasi ante litteram, in un periodo in cui il Ministero dell'agricultura spingeva a rimpiazzare i vecchi vitigni con altri più produttivi, dal Trebbiano al Cabernet.
Ho assaggiato per la prima volta nel 1978 un vino Mastroberardino, un Taurasi. Era un rosso che non mi aspettavo di trovare in Italia centrale perché per ignoranza ed inesperienza assimilavo tutti i vini rossi prodotti in quelle zone ai vino pugliesi che all'epoca erano prevalentemente rosati, ad alta gradazione e poco corposi. Nel tempo ho imparato ad apprezzarne anche i bianchi eccellenti, Greco, greco di Tufo e Fiano. L'elenco naturalmente non finisce qui perché la famiglia è numerosa e molti sono le tenute, tra cui una recente (2008) ad Apice, luogo rinomatissimo nell'antichità come mercato ortofrutticolo...) ed i diversi vini prodotti.
Prima dell'eruzione del Vesuvio che la distrusse, sappiamo dalle ricerche archeologiche che a Pompei e si coltivava la vite nei giardini e negli orti anche all'interno della cerchia muraria ed esistevano floridi vigneti. Gli studi botanici e il rilevamento dei calchi delle radici, delle viti e dei paletti di sostegno hanno permesso di capire molto sulla viticultura locale. Nel 1996 nell'ambito del progetto "La villa dei Misteri", la Sovrintendenza Archeologica di Pompei affida all’Azienda Mastroberardino l’incarico di ripristinare la viticoltura nella città antica.
Dal progetto nasce il vino rosso Villa dei Misteri, ricavato da uve di Piedirosso (90%), già noto ai tempi della Campania felix di Orazio e decantatato nel Naturalis Historiae di Plinio, e di Sciascinoso (10%), vitigno rosso campano conosciuto con il nome di Olivella per la forma dell’acino che ricorda le olive e che probabilmente coincide con l'Oleaginea descritta da Plinio. Questo vitigno è presente in Campania da così tanto tempo da poter a ragione essere definito autoctono. La collaborazione della Sovrintendenza con Mastroberardino sta continuando con successo. L'azienda infatti sta recuperando altri spazi nella città come l'Orto dei Fuggiaschi dove è stata ora impiantata una vigna di Aglianico.
E' merito suo se molti viticultori dell'Irpinia hanno conservato i vitigni di Aglianico, di Taurasi, di Fiano e di Greco contro ogni moda, contro ogni omologazione del gusto diremmo quasi ante litteram, in un periodo in cui il Ministero dell'agricultura spingeva a rimpiazzare i vecchi vitigni con altri più produttivi, dal Trebbiano al Cabernet.
Ho assaggiato per la prima volta nel 1978 un vino Mastroberardino, un Taurasi. Era un rosso che non mi aspettavo di trovare in Italia centrale perché per ignoranza ed inesperienza assimilavo tutti i vini rossi prodotti in quelle zone ai vino pugliesi che all'epoca erano prevalentemente rosati, ad alta gradazione e poco corposi. Nel tempo ho imparato ad apprezzarne anche i bianchi eccellenti, Greco, greco di Tufo e Fiano. L'elenco naturalmente non finisce qui perché la famiglia è numerosa e molti sono le tenute, tra cui una recente (2008) ad Apice, luogo rinomatissimo nell'antichità come mercato ortofrutticolo...) ed i diversi vini prodotti.
Uno degli ultimi progetti ad essere intrapreso è quello che riguarda Pompei, il progetto cosiddetto de La villa dei Misteri
Prima dell'eruzione del Vesuvio che la distrusse, sappiamo dalle ricerche archeologiche che a Pompei e si coltivava la vite nei giardini e negli orti anche all'interno della cerchia muraria ed esistevano floridi vigneti. Gli studi botanici e il rilevamento dei calchi delle radici, delle viti e dei paletti di sostegno hanno permesso di capire molto sulla viticultura locale. Nel 1996 nell'ambito del progetto "La villa dei Misteri", la Sovrintendenza Archeologica di Pompei affida all’Azienda Mastroberardino l’incarico di ripristinare la viticoltura nella città antica.
Dal progetto nasce il vino rosso Villa dei Misteri, ricavato da uve di Piedirosso (90%), già noto ai tempi della Campania felix di Orazio e decantatato nel Naturalis Historiae di Plinio, e di Sciascinoso (10%), vitigno rosso campano conosciuto con il nome di Olivella per la forma dell’acino che ricorda le olive e che probabilmente coincide con l'Oleaginea descritta da Plinio. Questo vitigno è presente in Campania da così tanto tempo da poter a ragione essere definito autoctono. La collaborazione della Sovrintendenza con Mastroberardino sta continuando con successo. L'azienda infatti sta recuperando altri spazi nella città come l'Orto dei Fuggiaschi dove è stata ora impiantata una vigna di Aglianico.
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